domenica 20 giugno 2010

13 - Nuovi ospiti

Kerter accolse l'ospite come era solita fare ogni volta, da sempre.
«Benvenuto su Eclipsia, signore.» Disse, rivolta all'ultroloth che la guardava attraverso occhi ambrati colmi di ogni tipo di perversione. Syojatar era avvolto in sgargianti vesti verde smeraldo con bordature ricamante in oro e bottoni d'avorio. Avorio ricavato da esseri umanoidi, probabilmente, e certamente dopo averli torturati a morte. Ma quello che per Kerter era disumano, per Wodan era solo una visione del multiverso, e la viandante planare aveva imparato presto a mettere da parte le proprie considerazioni riguardo agli ospiti della divinità che dominava Eclipsia. La testa calva e viscida di Syojatar guizzò fuori dal cappuccio, dietro di lui due possenti canoloth si facevano strada sferzando l'aria con le loro lingue irte di speroni ossei.
«Può portare con lei il suo seguito, se vuole, ma si assicuri che non creino disturbo. Il cosmolabio è un luogo di silenzio e di osservazione, e Wodan non tollera il disordine.»
L'ultroloth emise una serie di grugniti gutturali intervallati da interruzioni stridenti, Kerter dedusse che stava ridendo. Senza curarsi della mezzelfa, avanzò entrando nella sala del cosmolabio, dove aveva udienza con Wodan. I due demoni guardiani lo seguirono sbavando a terra e graffiando con le loro unghie il marmo del pavimento. Kerter fece una smorfia, si pulì gli occhiali e tornò al suo tavolo di lavoro.
«Occorre altro inchiostro, Algernon.» Disse, prima di sedersi alla sua scrivania. La stanza era illuminata dalla pallida, perenne e turbinosa luce che penetrava dalle vetrate, quella del piano etereo, dimensione di transizione che si trovava fra gli universi elementali e il mondo materiale. Da quelle vetrate era possibile scorgere solo nebbia, uno sconfinato panorama grigio mosso da venti incostanti. Algernon svolazzò qua e là nella stanza, poi si posò sullo schienale della sedia di fronte a Kerter e le porse la bottiglia di china. «Temo che gli eventi stiano accelerando il proprio corso. – Confessò la mezzelfa. – Nemmeno Wodan può rivolgere il suo sguardo ovunque... e comunque non è sua intenzione risolvere le cose. Lui preferisce... studiarle.» Accarezzò drago fatato.
«Sono riusciti a tornare da Maridia. – Asserì Algernon. – La cattedrale di Blackmoore è ancora integra. Hanno rinunciato all'hatuli. Le parche non tessono i loro fili a caso, le vite gettate nel multiverso si intrecciano in modo imprevedibile, e le conseguenze di ogni scelta si ripercuotono sull'intera ruota dei mondi.» Il draghetto intendeva accendere barlumi di speranza negli occhi della sua padrona, ma Kerter era troppo assorta nei propri pensieri. Si sedette scostano il suo compagno, che scivolò sul tavolo e poi saltò sul davanzale della finestra.
«La somma delle forze che si muove per spargere il caos nel multiverso, stavolta è molto più alta di quella che vorrebbe fermare ogni mutamento. E chi di noi è in grado di dire cosa è giusto? La vita non è né ordine né caos, per questo Wodan non vuole schierarsi.» Concluse la mezzelfa. E in quel momento qualcuno bussò alla porta. Senza attendere risposta, questa si aprì e oltre la soglia apparve uno dei bariaur che sorvegliavano il perimetro di Eclipsia.
«Che succede?» Domandò Kerter, seccata per l'interruzione e la mancanza di maniere di quegli esseri.
«Nuovi ospiti, signora. Erano alla deriva a pochi metri da Eclipsia, li ha raccolti una nave spelljammer ma il capitano vorrebbe che ce ne prendessimo cura.»
Kerter poggiò nuovamente il pennino sulla scrivania. Stavolta non era riuscita nemmeno a intingerlo nell'inchiostro. Si chiese se i suoi studi sulla natura del multiverso stessero davvero facendo processi, servendo alla corte di Wodan. «Arrivo subito.» Disse. La porta si richiuse. Algernon sospirò.