martedì 24 novembre 2009

12 - L'affare Blackmoore

Dona Carnelia si stava rivestendo. Due ancelle la aiutavano ad allacciare le numerose cinghie del corsetto, mentre una terza spolverava minuziosamente gli stivali che avrebbe dovuto indossare. In quel momento, qualcuno bussò. Una delle guardie che attendevano immobili, in piedi, ai lati dell'ingresso della camera, si voltò verso la porta. Entrò lentamente Isidoro, il suo ciambellano.
"Prego venite avanti! - lo incalzò Carnelia, e una fitta di dolore le attraversò la testa, costringendola a portarsi la mano alla fronte.
"Non dovreste eccedere con l'acquavite, Mia Signora, durante momenti così delicati."
Le disse Isidoro, con tono pacato e neutro. La principessa sventolò il palmo della mano allontanando da sé le ancelle, che si disposero attorno a lei con le mani giunte sul grembo, in attesa di ulteriori ordini.
"L'acquavite è l'unica cosa che rende questi momenti sopportabili, Isidoro. Quali notizie mi portate della trattativa in corso alla Cattedrale di Blackmoore?"
"Non molto buone, sono rammaricato. - Riferì il ciambellano, mentre Carnelia si sedeva sul bordo del suo enorme letto, ancora da rifare. - A quanto pare i negoziati sono falliti. Abbiamo perso il prigioniero ed è probabile che i negoziatori siano stati tutti uccisi."
Dona Carnelia si massaggiò gli occhi con l'indice e il pollice della mano destra, sospirando piano.
"Niente che non avessimo previsto, mi pare. Dammi le cattive notizie."
"La Korisande è stata assaltata prima di giungere a Blackmoore, il capitano Lawkrauss è stato ucciso assieme a tutto il suo equipaggio, e la nave è stata fatta schiantare nei pressi del villaggio di Ulbenard. Inoltre, temo che anche l'altra nave e l'altro equipaggio siano andati perduti, giacché gli avventurieri sono stati attaccati mentre erano in viaggio per tornare a Glantri, e non alla Cattedrale come avevamo previsto."
Carnelia de Belcadiz si rizzò in piedi e una delle ancelle la sorresse mentre cercava di mantenere l'equilibrio. Carnelia restò in silenzio qualche secondo, poi fece cenno con la testa di riuscire a restare in piedi. Le servitrici ripresero a vestirla, molto più velocemente di prima.
"Mi spiace per Lawkrauss, lavorava per noi da così tanto tempo... Ero bambina quando mia madre mi accompagnava sul ponte delle navi e il capitano mi faceva giocare col timone... occorrerà occuparci della sua famiglia. Gestisci la faccenda personalmente, Isidoro."
"Sì, Signora." Isidoro chinò leggermente il capo.
"Immagino che non esista un deserto abbastanza sperduto e distante da evitare che persone innocenti debbano morire per il bene della nostra famiglia... vero?"
"Sì, Signora." Ripeté Isidoro, cercando di non assecondare il tono malinconico dell voce di Carnelia. Un tono insolito, dovuto senza dubbio a ciò che restava dell'ubriachezza della sera prima. Ma il ciambellano sapeva che Dona Carnelia sarebbe stata pronta a presenziare le udienze in perfetto orario, stamane. Cosa che non si poteva dire di Don Hippolito, ancora nudo e stordito dal vino nel mezzo del giardino di rose, in compagnia di tre o quattro accompagnatrici. Probabilmente al principe quello che stava accadendo non interessava minimamente.
"C'è altro?" Domandò Carnelia, notando che il ciambellano non si accingeva a lasciare la stanza.
"Sì, Signora... in realtà non mi sono permesso di disturbarla per aggiornarla su quanto accaduto finché non ci è giunta questa comunicazione dal Consiglio, stamattina. Il Vicario Di Blackmoore, Sasha, ha richiesto una riunione straordinaria e immediata. La chiesa di Darokin ci fa sapere che la Cripta della Pace risulta violata, e chiede chiarimenti a riguardo."
La principessa era ormai completamente vestita. Scacciò il mal di testa come si scacciano le mosche fastidiose e il suo sguardo si fece duro come il corindone. Isidoro sapeva che un'elfa della sua età non avrebbe mai perso la pazienza, ma era altrettanto sicuro che un'elfa che non fosse stata Carnelia de Belcadiz a questo punto sarebbe stata molto vicina a commettere un'imprudenza. Isidoro non era un elfo, non apparteneva alla famiglia. Ma aveva lavorato per i de Belcadiz abbastanza a lungo da comprendere che la principessa aveva commesso una grave imprudenza. Carnelia aveva accettato che i trattati si fossero condotti alla Cattedrale Perduta perché voleva che meno persone possibile fossero coinvolte nel piano. Se il negoziato, come avevano previsto, avesse fallito, gli unici a subirne le conseguenze sarebbero stati gli avventurieri che si erano offerti per condurlo. Ma le cose non sono mai semplici come si spera. Qualcuno aveva appena violato la Cripta Santa nella quale la Chiesa della Repubblica di Darokin seppelliva i propri vicari. Chi poteva essere stato? Arkande, probabilmente. Ma perché? In ogni caso, avrebbero incolpato il casato de Belcadiz per aver scelto la cattedrale come luogo della trattativa.

"Credo che dovremo accettare l'offerta dei Malapietra." Sussurrò Carnelia a denti stretti.
"Provvedo immediatamenre a contattare il principe Innocenti." Isidoro uscì dalla stanza.

mercoledì 18 novembre 2009

11 - L'ultimo viaggio della Korisande

Il capitano Lawkrauss aveva appena dato l'ordine di procedere alla massima velocità. Nella sua lunga carriera di navigatore, oltre quarant'anni, aveva trasportato merci di ogni pericolosità e valore, ma erano nulla paragonate al rischio che stava correndo adesso. Sorretto da un incantesimo di dislocamento spaziale, immobile eppur minaccioso, nella sua stiva era stato caricato uno deli oligarchi di Maridia, Nogard. Avrebbe voluto concludere la sua missione il più velocemente possibile, per tornare poi dalla sua famiglia, a rassicurare sua moglie che ancora una volta accettare una missione così pericolosa è stato solo un modo per guadagnare facile, senza rischiare nulla, senza doverci perdere la vita. Ma appena dato quell'ordine, la sfera di cristallo della Fomalhaut iniziò a brillare. "Sono i negoziatori, capitano! - lo aggiornò il nostromo - Chiedono di poter vedere il prigioniero." Lawkrauss sospettò immediatamente che qualcosa non fosse andata per il verso giusto. Solo qualche minuto fa gli era stato dato il via libera per trasportare il prigioniero alla Cattedrale Perduta di Blackmoore, e ora arrivava una richiesta del genere. Lawkrauss non conosceva i negoziatori, un gruppo di viandanti planari assoldati dalla Principessa Carnelia troppo velocemente per fidarsi di loro. Ma si fidava di Carnelia, lavorava per i de Belcadiz da tanto tempo, aveva imparato che la sua principessa era molto più saggia (e molto più anziana) di quanto il suo aspetto rivelasse... come tutti gli elfi, d'altronde.
"Passami la sfera." Ordinò al nostromo, che gliela consegnò rapidamente. Lawkrauss attraversò il ponte fino al boccaporto, e scese sotto coperta. Alcuni marinai si affrettarono a rimettere in sesto la loro uniforme quando videro che il capitano era sceso a sorpresa nelle zone riservate all'equipaggio, ma Lawkrauss passò dritto in mezzo alle brande, tendendo la sfera di cristallo dritta davanti a sé. Giunse in fondo alla stanza, laddove assicurato alla parete e al pavimento con gomene di grosse dimensioni si trovava il corpo in stasi di Nogard.
Spostò la sfera in alto e in basso, lentamente, tenendola a meno di un metro dal prigioniero, in modo che dall'altra parte i negoziatori fossero in grado di ricevere l'immagine. Quindi la avvicinò al proprio volto.
"E' sufficiente?" Domandò. Ma non vi fu risposta.
Ad Arkande era bastato visualizzare la stiva della nave per quella manciata di secondi. Si trovava dietro le spalle di Vessha, e dietro quelle dei negoziatori, mentre loro comunicavano tramite le sfere di cristallo con Lawkrauss. Arkande non pensava che sarebbe riuscito a farcela, almeno non da come erano iniziati i negoziati. Quando gli avventurieri si erano presentati alla Cattedrale di Blackmoore, li aveva fatti accogliere da Vessha. Nel frattempo, aveva creato un ologramma illusorio di se stesso, rendendosi nel contempo invisibile. Poi, per quasi mezzora, aveva condotto la trattativa con quei quattro avventurieri che (a detta di loro) parlavano per conto del casato de Belcadiz. Se Glantri non fosse stata schermata da intrusioni magiche, e se i de Belcadiz non si fossero tutti rifugiati come topi nella torre di Carnelia a Glantri, probabilmente Arkande li avrebbe già sterminati tutti. Avevano osato rapire uno di loro, un oligarca, Nogard, uno dei suoi compagni di avventura più cari. E poi avevano osato proporre di negoziare. Di negoziare! A Maridia una cosa del genere si sarebbe chiamata chiedere un riscatto! Ma Arkande aveva saputo pazientare, e nascondere la sua ira. Dopo molte trattative, si era giunti quasi a un accordo. Un accordo che Arkande non avrebbe mai onorato, ma pur sempre un accordo. A quel punto, il mago si era reso conto che il teatrino doveva finire, e aveva osato chiedere, tramite il suo burattino illusorio, di vedere il prigioniero, per accertarsi che fosse ancora vivo.
Se gli avventurieri avevano davvero dato l'ordine di imbarcare Nogard su un vascello volante per portarlo alla Cattedrale immediatamente, a quel punto la nave doveva già aver superato il confine di Glantri. E quindi era fuori dal raggio della sua schermatura magica. Lasciando nella sala delle trattative il suo doppio illusorio, Arkande si era mosso dietro a Vessha per andare a comunicare al capitano Lawkrauss che era necessario vedere il prigioniero prima di firmare l'accordo. E i negoziatori se l'erano bevuta.
Il capitano Lawkrauss non ebbe il tempo nemmeno di chiedersi perché la comunicazione si fosse interrotta. Percepì un bagliore magico alle sue spalle e l'ultima cosa che vide, girandosi, furono gli occhi di ghiaccio di Vessha mentre con due colpi secchi dei suoi Egils gli fracassava la trachea e poi la spina dorsale. Un paio dei marinai ebbero l'ardire di lanciarsi contro di lei, ma Vessha era troppo veloce per loro, troppo ben addestrata, troppo dedita ai suoi compiti.
Il nostromo si rese conto che qualcosa non andava quando il cristallo yolos della nave iniziò a vibrare in maniera insolita.
"Che cazzo succede?" Imprecò lanciando un'occhiata ai marinai che avrebbero dovuto trovarsi alle sue spalle. Tutto quello che restava del marinaio alla sua destra era una macchia di sangue lucente sul legno della balaustra. L'altro lo vide scomparire, trascinato verso la scala di tribordo da una specie di saetta rossa. Preso dal panico, cercò di raggiungere la sfera di cristallo, per dare l'allarme... ma si rese conto con terrore che l'aveva presa il capitano Lawkrauss.
"Cerchi questa, forse?" Domandò una voce a pochi passi da lui. La sfera galleggiava in aria, come sorretta da una forza invisibile. La voce sembrava provenire proprio da lì. Il nostromo indietreggiò ed estrasse lo stocco, tremando come una foglia.
"State indietro! State indietro!" Gridò, rivolto verso il nulla. E il nulla si materializzò in un istante. Un mago, lunghi capelli neri, una barba poco curata, costose vesti indosso, e degli occhiali scuri e tondi poggiati sul naso. Arkande Kayenna! Arkande Kayenna era salito a bordo!

lunedì 16 novembre 2009

10 - Vessha

L'esarca di Ynnaghis celebrò la cerimonia della saldezza restando impassibile, anche se nel suo cuore si agitavano emozioni così intense che sentiva quasi il suo corpo consumarsi dall'interno. Eppure, gli anni di addestramento all'interno del monastero, l'esperienza, la responsabilità, e non ultimo il suo ruolo in quell'occasione, lo spinsero a ricercare dentro se stesso la forza di controllare i propri sentimenti. Li soffocò, come serpenti spinti in fondo a un pozzo, facendoli annegare. Accese gli incensi, adornò la sua allieva con le vesti della fortitudine, separò con attenzione le polveri alchemiche necessarie per il rituale, e infine lo portò a compimento.
Da quel giorno, Vessha non era più un'allieva, e lui non era più il suo maestro.

Per tre lunghi decenni gli oligarchi di Maridia avevano generosamente offerto grandi somme di denaro, affinché Ynnaghis si prendesse cura di Vessha. La bambina fu portata al monastero che era appena nata, ancora ricoperta degli umori del parto, il cordone ombellicale avvolto attorno al corpo. Dastes era presente quando la consegnarono nelle mani dei monaci. Dastes aveva già 128 anni, ma era ancora molto lontano dalla perfezione.
Alla bambina fu dato il nome di Vessha, e giunta all'età giusta fu inserita all'interno delle ancelle aspiranti al ruolo di monaco. Rispetto alle altre bambine di sei anni, Vessha aveva un vantaggio notevole: nessun legame con il mondo esterno. Nessun genitore, nessun fratello, nessun parente, nessuna patria, nessuna fede. Abbracciò completamente le discipline monastiche, che divennero in breve tempo la sua unica ragione di vita. All'età di ventitre anni sconfisse in duello il maestro Char, araldo del primo segno. Le fu chiesto di intensificare l'addestramento e di puntare ancora più in alto, in modo da ottenere l'illuminazione. Vessha accettò, e negli anni successivi visse in quasi completo isolamento, temprando mente e corpo contro ogni tipo di invasione esterna. Quando i maestri la ritennero in grado di affrontare la prova e divenire essa stessa araldo, rifiutò, tornando ad essere un semplice monaco. Rifiutò anche di addestrare altri monaci, rifiutò qualsiasi incarico di responsabilità. Vessha eseguiva ogni compito alla perfezione, portava a termine ogni suo dovere con il massimo dell'efficienza dedicandogli la metà del tempo rispetto a qualsiasi altro monaco di Ynnaghis. E il resto del tempo, lo dedicava all'addestramento.

Dastes fu incaricato di seguirla, di interrogarla, di oltrepassare la barriera che la ragazza aveva eretto attorno alla sua mente e al suo cuore. Lo scopo di Dastes, e quello dei suoi superiori, era quello di condurre Vessha fino alla cerimonia della saldezza, che avrebbe sancito la sua completa autonomia... esiliandola per sempre da Ynnaghis.
Dastes eseguì il suo incarico con dedizione e molta, molta pazienza. Inizialmente Vessha non accettava altro modo di relazionarsi a lei se non combattendo, fisicamente o spiritualmente. Dopo qualche anno, finalmente accettò Dastes come confidente, oltre che come maestro. E dopo qualche altro anno ancora, come amante oltre che come confidente. Dastes completò l'addestramento di Vessha donandole l'umanità di cui il monastero l'aveva privata. Le insegnò a sfruttare i propri sentimenti, anziché ignorarli. E le insegnò a seppellirli, quando fossero di ostacolo. Alla vigilia del trentesimo anno di nascita di Vessha, Dastes -che nel frattempo era divenuto uno degli esarchi- comunicò agli anziani del settimo segno che la ragazza non aveva più nulla da imparare, a Ynnaghis. Era pronto a officiare la cerimonia della saldezza.

Come regalo personale per la sua dipartita da Ynnaghis, Dastes aveva fatto creare una coppia di armi magiche, le Radici Affilate di Traladara, o Traladar-egils. Le consegnò a Vessha l'ultimo giorno in cui la vide, il giorno in cui uno degli oligarchi, Arkande Kayenna, venne di persona al monastero di Ynnaghis per prelevare ciò che era suo e che per anni era stato per lui coltivato. Vessha aveva rasato la sua testa, raccolto i lunghi capelli neri in una treccia che le scendeva lungo la schiena, indossato l'abito monastico da viandante e non aveva preso con sé nulla, tranne le armi donatele da Dastes. Quando la porta del monastero si chiuse, Dastes pianse amaramente.

sabato 14 novembre 2009

9 - Visita alla Torre dei Sospiri

Carnelia de Belcadiz si voltò, e anche se il cappuccio sul suo capo era sufficiente a nasconderle il volto, il capitano della scorta intuì immediatamente le intenzioni della principessa.
"Mia Signora, - sussurrò - non possiamo permetterle di entrare senza una scorta! Sta mettendo la sua vita in serio pericolo!"
Dona Carnelia abbassò lo sguardo. Il corridoio umido, freddo e poco illuminato le ricordava tutte le altre volte che era dovuta scendere nei sotterranei della Torre dei Sospiri, per parlare con un prigioniero. Ma stavolta era diverso, il prigioniero non era il solito mercenario al soldo di qualche casato che aveva maldestramente cercato di metterle un bastone tra le ruote. Stavolta il prigioniero era un Marut, uno degli inevitabili che aveva cercato di uccidere gli stessi avventurieri che aveva appena assoldato.

Appena li aveva visti, nella sala della caccia, che usualmente Carnelia usava come sala d'attesa per gli ospiti senza titolo nobiliare, aveva capito immediatamente che si trattava di avventurieri. Armi nel fodero, zaini ingombranti, ampi mantelli a coprire le armature, cicatrici sulla pelle e lo sguardo ingenuo di chi ha scelto come mestiere quello più pericoloso di tutti. Tuttavia, avevano deciso di presentarsi tutti come il seguito di uno di loro, un mago, un tale Laxarus. Il solo fatto che un sedicente mago viaggi con una scorta di mercenari come servitori, a Glantri sarebbe visto con sospetto. Carnelia però era incuriosita, e il suo ciambellano sembrava convinto che potessero essere "utili", il che significa "manipolabili". Parlando con loro li aveva trovati fortemente motivati. Erano interessati a trattare con i maridiani, un compito che persino Ricardo aveva rifiutato. Perché volessero farlo? A Carnelia non interessava. Gli avventurieri le avevano assicurato che non avevano intenzione di farsi un nome affrontando gli oligarchi di Maridia (anche perché, in tal caso l'unico nome che si sarebbero fatti era quello scolpito sulla loro lapide). Era stata chiara con loro, avrebbero potuto condurre il negoziato in piena libertà, scambiando la libertà di Nogard per qualsiasi cosa, ma Carnelia aveva imposto loro un minimo: l'esclusiva al casato de Belcadiz nell'acquisto di oggetti magici da Maridia. Ottenere di più e di meglio sarebbe stato alle loro capacità diplomatiche, e a Carnelia non interessava veramente come sarebbe andata a finire. Se gli avventurieri avessero portato a termine il negoziato con successo, il casato ne avrebbe guadagnato, e se gli avventurieri fossero stati trucidati, nessuno del suo casato sarebbe stato coinvolto e lei si sarebbe liberata di Nogard.

"Non temete per me, -rispose l'elfa al capitano - so badare a me stessa. E in ogni caso, Cortazar mi assisterà. Ho bisogno di porre alcune domande al Marut, prima che arrivino gli avventurieri."
Il capitano deglutì e annuì lasciando trapelare un evidente nervosismo. La principessa si calò il cappuccio sulle spalle, aprì la porta ed entrò.
"Dona Carnelia! - Cortazar, il carceriere dei de Belcadiz, la accolse carolosamente vedendola entrare - Siete radiosa come al solito."
"Smettetela con le lusighe, Cortazar. Sono stata scortata qui in piena notte dopo una festa di quattro ore, non ho intenzione di perdere tempo in convenevoli, soprattutto se fuori luogo."
Carnelia abbandonò lo sguardo severo quando i suoi occhi si abituarono all'oscurità della stanza. Al centro della sala circolare, buia e lugubre come tutto il resto dei sotterranei, stava immobile un corpo, in piedi. Il corpo era pieno di cicatrici e tatuaggi, massiccio nella muscolatura, completamente nudo, paralizzato dalla magia. Sembrava di essere al cospetto di una statua vivente, la statua di un qualche dio della guerra.
"Oh sì, certo... ho preparato Nogard per i negoziatori, come mi avete ordinato. Potete avvicinarvi senza timore, è ancora sotto stasi."
Carnelia si fece avanti. Sollevò lentamente la mano sinistra e pronunciando alcune parole magiche, illuminò le proprie dita con il bagliore di una luce magica. Il corpo di Nogard non respirava nemmeno, cristallizzato in un istante di tempo, le mani giunte sul petto, il capo leggermente chino in avanti, gli occhi chiusi. "Impressionante, vero? - commentò Cortazar - Si raccontano molte leggende sugli oligarchi. Si dice che abbiano sfidato gli dei, viaggiato fino al fondo degli inferi, raggiunto il grado di divinità essi stessi..."
L'elfa restò in silenzio per qualche secondo, immersa nei suoi pensieri. Poi voltò la luce verso il carceriere.
"Portami dal Marut. Ho poco tempo. Ho consigliato loro di parlare con te il prima possibile."
"Ma certo mia Signora, - rispose Cortazar - da questa parte."

Il Marut era stato catturato dagli Abiuratori della milizia di Glantri mentre cercava di attraversare una torre sfondando un muro dopo l'altro. Il rapporto parlava di un feroce scontro su una delle terrazze della città. A quanto pare due inevitabili avevano attaccato gli avventurieri, senza curarsi della gente che riempiva la piazza sospesa al tramonto. Molti cittadini erano rimasti uccisi, vittime dei colpi magici scagliati da entrambe le parti, ma nell'udienza preliminare il Consiglio aveva scagionato il gruppo da ogni accusa. Certo, ci sarebbero stati altre due sedute in futuro, e infine il giudizio della Corte Suprema, e questa prima assoluzione si sarebbe potuta trasformare in una condanna, ma per ora gli avventurieri ne erano usciti puliti.
Tuttavia, anche se per Glantri il gruppo era innocente, era evidente che non lo erano per le autorità di Mechanus. Dona Carnelia doveva sapere. "Il prigioniero è a sua disposizione per tutto il tempo che vuole, mia Signora. - disse Cortazar invitandola a entrare nella cella. - Io sarò qui fuori, se avrà bisogno di qualcosa, mi chiami."
"Grazie Cortazar." Ringrazio la principessa. Poi chinò il capo e scomparve all'interno della cella dove era stato rinchiuso l'inevitabile.

martedì 10 novembre 2009

8 - Ordine assoluto

Gigantesche ruote dentate si mossero con fragore, e mentre l'umano faceva il suo ingresso nella sala delle udienze di Primus, si chiedeva se le porte stesse non fossero una estensione del corpo del padrone assoluto di Mechanus. E si rispondeva che sì, probabilmente lo erano.

L'uomo in questione era vestito in modo semplice, e sopra la tunica color cachi indossava un panciotto costellato di tasche dalle quali spuntavano penne, cacciaviti e altri strumenti di difficile comprensione, per i non addetti. L'intera parete di fronte a lui era costituita da una infinità di meccanismi, molle, pistoni e staffe che scattavano ogni secondo bilanciandosi, sincronizzandosi, spostandosi con tale precisione che era impossibile non apprezzarne la divina perfezione.
Al centro della parete, immobile e senza espressione, incastonato all'interno di un'apertura circolare e brillante di una meravigliosa luce bluastra, l'occhio di Primus splendeva incessantemente e senza mai battere ciglio, fornendo energia perpetua all'intero macchinario. Un macchinario che comprendeva l'intero Regolus, con le sue sessantaquattro piattaforme rotanti, governate ognuna da un Octon... e sopra di loro ci sono i Quarton, che amministravano le sedici sezioni di terzo livello, e poi ancora i quattro Secondus, e infine Primus, l'unico, la divinità che vegliava sulla perfezione di Regolus, nel Nirvana Meccanico.

La testa dell'uomo, calva, iniziò a sudare copiosamente. Primus si rivolse a lui con voce neutra, monotona, imponente.
"Individuo John Von Neumann, meglio noto come Neumann, abbiamo bisogno di spiegazioni. Riferire l'esito della missione Aramil/Celeborn e destinazione finale degli inevitabili 318-2 e 615-alpha."
Neumann si guardò attorno. Si sentiva come Giona, inghiottito da una mastodontica balena meccanica, impotente all'interno della pancia del mostro, senza alcuna via di scampo. D'altra parte, sapeva che Primus non aveva alcun interesse nel giudicarlo, men che mai nel punirlo. Neumann non era un semplice supplicante. Aveva ottenuto da Primus dei privilegi e dei poteri che lo rendevano una delle autorità più importanti di Mechanus. Anche se il concetto di autorità, su Mechanus, perdeva quasi completamente di significato. Neumann era un creatore. Un ingegnere, come lo appellavano i formian. Aveva dato vita a una intera zona di Mechanus nominata in suo onore Neumannus. Una colossale fabbrica autosufficiente in grado di progettare, costruire e attivare alcune delle forme di vita più note del Nirvana Meccanico: gli Inevitabili. Quando Primus lo invitava a comparire al suo cospetto, si trattava sempre di questioni inerenti al funzionamento del Neumannus. E per John era facile prevedere le domande di Primus, e prepararsi le risposte.

"Ho il registro dei loro rapporti, fin quando non si interrompono." Neumann li agitò in alto, in modo che Primus potesse vederli, poi iniziò a commentarli, mantenendo lo sguardo fisso sui dati.
"L'ultimo aggiornamento risale a due giorni fa. Neumannus ha prodotto il Marut codice 318-2 e il Quarut 615-alpha e li ha affiancati con due unità di supporto modron al fine di rintracciare e distruggere le entità note con il nome di Aramil e Celeborn. Aramil è colpevole della violazione della direttiva 66 paragrafo 16 comma 23; Celeborn è ricercato in ottemperanza alla sottodirettiva 994 aggiunta di recente, dopo la distruzione dello strato 471 dell'abisso, dominio di Pale Night. Il Quarut 615-alpha ha raggiunto il piano materiale conosciuto come Mystara, nei pressi della città di Glantri. Hanno proceduto a raccogliere informazioni, eliminando successivamente le fonti come da procedura. Hanno individuato gli obiettivi all'interno della città stessa. L'ultimo rapporto riporta le coordinate del luogo dove hanno dato inizio alla procedura di risoluzione. Non c'è altro."

Primus restò in silenzio per alcuni interminabili minuti, durante i quali Neumann ebbe la tentazione di asciugarsi il sudore con i fogli. Ma si trattenne. Infine la divinità parlò di nuovo:
"La probabilità che le unità Marut e Quarut incaricate della missione siano state distrutte sono troppo alte per permetterci di esitare. Il Neumannus deve produrre nuove unità da assegnare alla missione. Si richiede che l'individuo John von Neumann supervisioni la produzione delle nuove unità."
Neumann era turbato.
"Perché Primus vuole che la produzione sia supervisionata? Il Neumannus è la concretizzazione definitiva del concetto di automa auto-replicante, è in grado di regolarsi in maniera autonoma e di configurare i nuovi inevitabili in modo che le percentuali di successo siano ogni volta matematicamente migliori della volta precedente... Non necessita di alcun intervento esterno!"
Primus non rispose. La porta alle spalle di Neumann si spalancò, lentamente. Oltre la soglia, quattro modron sferici e allineati attendevano che l'umano si congedasse e lasciasse la stanza. Neumann sbuffò, ripiegò i fogli e li infilò in una delle sue tasche, poi si voltò e uscì. Le pesanti porte si chiusero di nuovo, cigolando e stridendo, fino a sigillarsi ermeticamente.

mercoledì 28 ottobre 2009

7. Il prigioniero

All'attenzione di Vostra Eccellenza, la Principessa Carnelia di Belcadiz.
Vogliate scusare il ritardo con il quale vi scrivo, ma al fine di svolgere al meglio i compiti che ho avuto onore di ricevere da Voi, ho dovuto modificare alcune delle direttive normalmente applicate ai prigionieri del Pozzo delle Anime Perdute.
Innanzitutto voglio rassicurarvi: il prigioniero è al sicuro e ancora in nostro possesso. Dopo averlo privato di ogni arma e armatura, e averlo incantenato con l'adamantio, come da voi richiesto, siamo riusciti a porlo in stasi in maniera permanente. Il suo corpo è stato calato all'interno di una delle camere di contenimento, come è solito per gli ospiti del Pozzo che non devono essere giudicati dall'alto consiglio e la cui condanna è permanente. Tuttavia ho personalmente applicato alcuni sigilli di interdizione sulla botola, in modo che nessuno la apra inavvertitamente. Mi sono permesso anche di incantarne magicamente le pareti, con rituali di protezione che rendono ulteriormente difficile individuare il prigioniero, dissolvere le magie che lo mantengono in stasi, e liberarlo. Conosco alla perfezione le regole del Pozzo delle Anime Perdute, so bene che il Pozzo è già provvisto di molte misure di sicurezza che rendono la maggior parte delle magie inutili, tuttavia e con licenza parlando, mia Signora, se Voi aveste visto di cosa è stato capace il prigioniero prima che lo catturassimo, Voi stessa avreste la mia stessa premura.
Vi invito comunque a non credere a quei soldati sopravvissuti che riporteranno voci infondate riguardo l'avvento di una divinità, o di un eroe mitologico. Credetemi, non c'era nulla di eroico né di divino in quella radura rocciosa, quando la trappola di Sua Signoria il Barone è scattata. Il prigioniero è un combattente formidabile, per forza e per esperienza, e sono state solo la sua forza e la sua esperienza che gli hanno permesso di resistere ai continui attacchi da parte dei nostri incantatori e della nostra milizia. Capisco bene che di fronte a quasi un centinaio di soldati di alto rango, massacrati e mutilati in quel modo, alcuni di loro possano aver creduto di aver scorto un avatar o un qualche tipo di creatura ultraterrena. Quello che posso assicuravi è che Nogard è solo un uomo, di carne e ossa come lo sono io e lo siete voi. Solo lui stesso sa cosa gli passa per la testa, che sicuramente la sua mente non è affine alla nostra, e il suo modo di vedere la realtà non ci appartiene né ci corrisponde. Eppure abbiate fiducia nelle mie parole: dentro quel pozzo si trova una vera furia della guerra, un veterano del massacro, una belva. Niente di più, niente di meno.
Pertanto, per quanto riguarda la preoccupazione di Vostra Eccellenza, che l'alto consiglio potesse considerare questa vicenda come una pericolosa prova della forza di potenze divine, vi consiglio di riportare loro questa mia considerazione: se anche il prigioniero possedesse un qualche tipo di benedizione divina, o se fosse un eletto, o una semidivinità lui stesso, in ogni caso l'arte l'ha piegato e ridotto in catene.
Sicuro di esservi stato di aiuto,
Vostro Servitore,
Gadis Cortazar

martedì 27 ottobre 2009

6. Dal diario di Dama Isabelle d'Ambreville

Septio della III decade, 1209 DI
Ho avvertito un fremito non appena li ho veduti entrare. Hanno varcato la porta della bottega come se non avessero tempo da perdere in chiacchiere, il ché è abbastanza insolito per la città di Glantri. La chiamano la "città della magia", ma io credo che "città delle frivolezze" sia un appellativo molto più azzeccato. Nessuno a Glantri dimostra apertamente di avere fretta, solo chi non può permettersi di gettare all'aria il tempo va di fretta, e tutti vogliono dimostrare di avere tempo da perdere. E probabilmente, ce l'hanno.

Un guerriero in armatura violetta si è avvicinato al bancone, seguito da quello che probabilmente era uno stregone, un tizio dall'aspetto trasandato, e da un insolito elfo. E poi c'era Aramil, o almeno così mi ha detto di chiamarsi. Credevo fosse il giullare del gruppo, vestito con colori abbastanza vivaci da distinguersi dagli altri della sua compagnia. Mentre loro erano intenti a scambiare oggetti con Serena, ho scambiato due chiacchiere con lui. Una persona colta quanto basta da sostenere la conversazione, ma non ancora da risultare noiosa. Mi ha detto che hanno intenzione di raggiungere Maridia, per portare a termine alcuni affari. Hanno bisogno di un trasporto, o di una magia che accorci loro il viaggio. Orbene, chiunque a Glantri che abbia superato il quinto anno di accademia conosce l'incantesimo di cui hanno bisogno, ma nessuno sarebbe disposto a portarli laggiù gratuitamente. I cittadini di Glantri sono gente che ama starsene lontana dai guai, cullata dalle ricchezze e coccolata dalla magia. Glantri in effetti è il luogo più distante dall'avventura che io conosca. Così ho proposto loro uno scambio.

Camille ormai è al limite, le mie pozioni magiche non riusciranno a rallentare ulteriormente l'avanzare della maledizione. La sua mente è quasi completamente ottenebrata, stenta a concentrarsi anche solo per accendere una luce magica. Se Jean-Luis non trova immediatamente un gruppo di avventurieri disposto a farsi carico della missione, dovrò andarci io stessa.
Ho insistito affinché Aramil parlasse con Camille, e con Jean-Luis, nelle sale superiori della bottega, e in cambio ho offerto loro di teletrasportarli dovunque vogliano. Stavo raccontando ad Aramil anche del prigioniero dei Belcadiz, un guerriero di nome Nogard che pare faccia parte dell'oligarchia regnante a Maridia. Non credo che riusciranno ad ottenere nulla dai Belcadiz, ché sono troppo impegnati a rimettere in piedi i loro loschi affari per concedere favori a un gruppo di avventurieri, ma in ogn caso mi sembrava opportuno metterli al corrente della situazione -piuttosto tesa- che c'è tra Maridia e il clan de Belcadiz.
Purtroppo sono stata interrotta da quell'idiota di Gaston, in preda a un'altra delle sue crisi. Sono tentata di porgergli una bottiglia di acqua di fiume, la prossima volta che appare dal nulla, sudato e tremante, per chiedermi un'altra fiala di pozione della memoria. Ma la sua dipendenza da queste pozioni è un modo molto efficace di tenerlo sotto controllo. E comunque, è probabile che anche lui sia vittima di una maledizione lanciata da quella stronza di Tayana.

Più tardi ho saputo da Jean-Luis che gli avventurieri non hanno accettato l'incarico. Perlomeno, non immediatamente. Jean-Luis dice che comunque non l'hanno rifiutato, il che ci dà speranza. Ma dubito che torneranno. Stanotte, dopo la seduta del parlamento, invierò un messaggio a Richard affinché mi preparino una stanza presso il loro castello. Potrei convincere Don Diego a seguirmi in questa assurda missione suicida, ma credo che Glantri abbia ancora bisogno di "Manuel dei Puri" e delle sue plateali pagliacciate. Charles mi aspetta. Vado a prepararmi.

lunedì 26 ottobre 2009

5. La compagnia del Principe Innocenti

Franz Lowenroth raggiunse lady Rowena e il suo principe, Innocenti di Malapietra, che i due non avevano ancora varcato i confini delle terre del principe Jherek. Si erano accordati per una passeggiata nelle radure boscose del principato, ma Franz era rimasto indietro, perché presso il varco meridionale di Glantri era stato fermato da un gruppo assai curioso di viandanti planari.

Quando Franz raggiunse Innocenti, egli cavalcava placido a fianco dell'elementalista, annoiandola con i suoi soliti discorsi sulla gestione degli introiti del Circo Lizzieni. Lady Rowena non attese oltre, e quando Franz rallentò l'andatura del suo cavallo per adeguarla a quella dei suoi due compagni, la nobildonna si voltò immediamente verso il barone interrompendo il pomposo monologo nel quale Innocenti era impegnato.

"Franz! Eravamo in pensiero. Credevo che quei loschi viandanti vi avessero rapito."
La fanciulla sorrise. Franz intravide sotto le ciocche di capelli che ella portava sempre sciolte sulla parte sinistra del volto, la cicatrice che la maga si era procurata anni fa. Si trattava di una cicatrice magica, sventurato epilogo dello studio di alcune forze magiche che si erano rivelate molto più grandi di lei. Una creatura degli abissi le aveva sfregiato il volto, e da quel giorno la ragazza aveva promesso la sua mano a chiunque le portasse la testa di quella creatura. Ma la cicatrice non impediva di coglierne la bellezza, quel tipo di bellezza indomita e forte che è tipica di chi sa maneggiare così bene le forze magiche elementali. E in ogni caso, Rowena non si era di certo arresa: negli anni aveva continuato a studiare le arti arcane con intenso impegno, fino a guadagnarsi la carica di Elementalista del Fuoco del Terzo Circolo.
"Vi ringrazio della preoccupazione, - rispose con garbo il barone - ma dubito che sarebbero riusciti a sopraffarmi. Credo di conoscere almeno un paio di trucchetti magici più di loro, mia cara Rowena. Ma non volevo interrompere la vostra conversazione... di cosa stavate parlando?"
Rowena anticipò il principe Innocenti, prima che potesse proferire parola:
"Il viceré mi stava raccontando del successo dell'ultimo spettacolo organizzato presso la sua arena... Ma siamo molto più curiosi di sapere di cosa avete conversato con quegli strani individui! ...non è vero altezza?"
Il principe di Malapietra scosse il mantello e guardando fieramente avanti si limitò a sussurrare: "Ma certo."
"Non credo che stessero mentendo quando hanno asserito di essere dei viandanti planari... - raccontò il barone Lowenroth mentre soffocava un sorriso per la reazione di Innocenti - Sicuramente il loro accento non era di Caurenze, né di qualsiasi altra città del principato. E comunque non sono riusciti a nascondere una completa ignoranza nei confronti del posto, il ché non può che essere indice della loro sincerità, visto che ben pochi su questo piano possono davvero non sapere nulla della Città della Magia. Mi hanno pregato di aiutarli a raggiungere il quartiere nobiliare, e ho chiesto al timoniere di fare una piccola deviazione riportando a casa Agostino e Bartolomeo."
"Per gli dei! - Esclamò Rowena coprendo il proprio sorriso con una mano - Non erano in grado di muoversi per Glantri altrimenti?"
Il principe innocenti rise di gusto.
"Posso solo immaginare - riprese Franz - che provenendo da piani di esistenza più barbari e primitivi, non abbiano la confidenza necessaria con la magia..."
"Ma Franz, sono conoscenze da primo anno di accademia!" Fece notare la nobildonna.
"Non prenderti gioco dei viandanti planari, Rowena! - la ammonì Innocenti - Le loro conoscenze di magia non saranno all'altezza della nobiltà di Glantri, ma sopravvivere a ripetuti viaggi planari è sufficiente affinché meritino il tuo rispetto."

Franz per una volta era d'accordo con il principe. Era stato anche lui un avventuriero prima di ritirarsi dalla scena, e prima che la famiglia Malapietra si accorgesse di lui aveva affrontato numerose missioni pericolosissime. Eppure non aveva mai osato varcare un portale. I suoi maestri all'Accademia della Magia l'avevano sufficientemente ammonito: mai, mai varcare un portale. Quando oltrepassi la soglia, non sai cosa può accadere. Anche analizzando il portale e scoprendone la destinazione, non saprai mai dove apparirai di preciso, e in compagnia di quali pericoli. Sempre che la tua analisi sia corretta. Sì, il principe aveva senz'altro ragione.
"E avete fatto bene altezza, se mi è permesso dirlo, ad invitarli alla festa di stasera. Sono sicuro che il disappunto di Lady Szaza Markovitch sarà ripagato dalle storie che ci racconteranno."
Innocenti sorrise compiaciuto.
I cavalli proseguirono oltre le colline, attraversando piccoli ruscelli e piacevoli radure, lasciandosi alle spalle la città.

venerdì 23 ottobre 2009

4. Ultime parole di Edgar Malaware, sedicente informatore

"I Principati non erano pronti al loro arrivo, ma che lo fossero o meno, la ruota del destino aveva deciso che Aqel, Aramil, Celeborn e Vorlax (rigorosamente in ordine alfabetico) si sarebbero trovati là. E quel là era l'acquitrino delle foglie, poco a nord della città di Glantri. L'acquitrino era un piccolo appezzamento di terreno paludosi, sufficientemente esteso per essere segnalato nelle mappe locali, ma poco significativo dal punto di vista storico. Tranne forse un'eccezione: quella volta che Erimal Lumocorno aveva tentato di animare nell'acquitrino un golem di mithril. Scelse l'acquitrino perché era abbastanza isolato, lontano dalle abitazioni (ma non da una comoda via commerciale) e soprattutto perché c'era acqua in abbondanza per animare le sue creature. Purtroppo qualcosa andò storto... qualcosa relativa al flusso magico o non so cosa... ci fu un botto e un lampo di luce, tanto che Karelle della Taverna al Vecchio Crocicchio disse che era come se si fosse fatto giorno d'improvviso! ...e nessuno seppe più nulla di Erimal. Trovarono solo vecchi rottami e ciarpame magico, che decisero di abbandonare nella palude. Ma sto divagando... dov'ero arrivato? Ah, sì. Arrivarono ben prima che fosse l'alba, probabilmente attraverso un portale. Comparvero nella palude, e non doveva essere una festa. Ma erano avventurieri, ancor prima che viandanti planari, quindi non fecero troppo caso alle zanzare e al fetore di legno marcio. Si diressero verso le luci all'orizzonte, che inizialmente pensavano fossero dovute a un'alba prematura, ma quando giunsero alla strada commerciale, si resero conto che stavano osservando i bagliori della città di Glantri. La città appariva loro come coperta da una spessa cupola di vetro trasparente, e all'interno della cupola si intravedevano abitazioni alte diversi piani e centinaia di piccole luci attorno a ogni palazzo, pari a quelle di tantissime torce. Era uno spettacolo mozzafiato, anche a quella distanza. Sembrava di osservare un pezzo di futuro, o il paesaggio di un racconto fiabesco... ed erano ancora a diversi chilometri dalla città! Di quel posto non conoscevano nulla. Geografia, storia... nulla di nulla. Non era solo un nuovo regno, era un nuovo mondo, in un universo completamente nuovo! Guardando in cielo si accorsero delle presenza di molteplici lune (ma questo lorsignori lo sapranno, era un effetto magico attivo nel principato). Avrebbero potuto incontrare creature mai viste. Avrebbero potuto imbattersi in minacce molto al di sopra di quelle che immaginavano! ...ma è proprio questo il gusto di varcare una soglia planare, il bello di essere un viandante. Percorsero la strada principale per diversi chilometri verso sud, in direzione della capitale. Quando capitava loro di incontrare qualcuno, tenevano un profilo molto basso: chiedevano informazioni e lasciavano che popolani e diligenze proseguissero per la loro via. Qualcuno notava il loro insolito accento, ma nei Principati nemmeno il più zotico dei contadini si stupisce più per un accento bizzarro... siamo tutti abituati alle stranezze dei maghi! Vi ho raccontato di quella volta che Loshell Vandevald ha assistito al parto di una bullette all'interno del suo fienile? Oh, è stata una cosa straordinaria, quella volta c'era anche il Gran Protettore Freire che... Cosa dite? Sto divagando ancora? Oh beh scusate, deve essere la vecchiaia. Ad ogni modo, quando l'alba -quella vera- cominciava a stendere pennellate di rosa all'orizzonte, i viandanti giunsero in vista di una locanda. Era la prima che incontravano lungo la strada da chilometri, e si trovava a poca distanza dalla città. Lo splendore di Glantri, a quella distanza, era mozzafiato: palazzi sospesi, ponti di luce luminosa, bagliori che si spostavano tra le torri... Decisero di fermarsi alla locanda. Avrebbero proseguito il giorno successivo. La locandiera sapeva il fatto suo, diede loro qualche dritta. Ad esempio che avrebbero fatto meglio a nascondere i simboli sacri: la religione a Glantri è considerata vera e propria eresia. Ehi non spingere! ...cosa c'è? Non vedi che sto parlando con questo signore? Uhm? Sei in chiusura? Oh... beh, allora temo proprio che la nostra storia proseguirà domani, se gli dei lo vorranno! Mi troverete qui, alla stessa ora di quest'oggi, pronto a dirvi tutto quello che ho sentito su quel gruppo di viandanti. Ora se potessi avere le monete d'oro che mi avete prom..."

mercoledì 21 ottobre 2009

3. Dushmir, arcidruido di Mosstone

Kerter tornò alla sala dell'accoglienza, un grande salone dalla pianta vagamente ottagonale, con colonne sottili, archi a volta e bassorilievi dorati che lo rendevano già un luogo interessante senza bisogno di aggiungervi le grosse vetrate, di cui una nel mezzo del pavimento, che davano piena vista alle nebbie eterne del piano etereo. Il salone era colmo di viandanti planari. Essenzialmente mercanti ed esploratori, attirati dalle ricchezze nascoste tra i piani interni, come ad esempio i minerali preziosi del quasi-piano dei cristalli, o le perle radianti che si generano a metà strada tra il piano positivo e quello del fuoco. Un mercante di razza mercane aveva già approfittato dell'attesa per stendere un tappeto e mettere in mostra alcune cianfrusaglie, ma nonostante l'impegno dei suoi servitori nel richiamare attenzione, quasi nessuno si avvicinava alla mercanzia. Serphe, il tanarruk che si occupava della sicurezza di Eclipsia, le fece capire con uno sguardo che era tutto sotto controllo. Dopo aver congedato un bariaur in attesa di ricevere indicazioni per la Città di Ottone, imboccò il corridoio per le stanze private degli ospiti. Erano le stesse dove Wodan aveva accoltogli avventurieri, qualche giorno prima, recuperando i loro corpi nel piano dell'energia positiva. Adesso la stanza era occupata da alcuni druidi provenienti da Abeir-Toril, che invocavano l'aiuto di Wodan. Prima di entrare nella stanza, si aggiustò il corpetto di cuoio verde, gli occhiali, e si lisciò i capelli corti all'indietro.

"Signori, - esordì entrando nella stanza - Wodan ha preparato un portale dimensionale che vi riporterà nel vostro piano materiale, senza che dobbiate viaggiare ulteriormente tra i piani." L'arcidruido di Mosstone, Dushmir, con un rapido movimento delle mani, spense gli incensi che aveva di fronte e si sollevò in piedi. Immediatamente le sue guardie del corpo, due possenti centauri corazzati, si fecero al suo fianco. "Suppongo che Wodan non abbia riconsiderato la sua decisione di negarci l'aiuto richiesto." disse con voce grave. L'arcidruido era un vecchio dalla statura imponente, con una lunga barba ispida che sottolineava un volto severo e privo di compassione. Kerter lo trovava irritante, anche se si rendeva conto di non conoscerlo affatto. Cercò di dargli la risposta più secca e decisa possibile. "Wodan ha già riconsiderato la sua decisione, probabilmente l'ha fatto un milione di volte nello stesso attimo nel quale voi avete portato alla sua attenzione la vostra richiesta. Una divinità, dovreste saperlo, esprime verità non opinioni. Se vi ha negato la sua collaborazione, è perché ritiene che sia la cosa migliore da fare." Il vecchio si voltò aggiustandosi le pesanti vesti, e raccolse la falce magica che gli porgeva il centauro alla sua sinistra. "La cosa migliore da fare, giovane viandante? - accennò una risata sprezzante - Migliore... per chi? Chiediglielo la prossima che ti concede di porgli delle domande." Poi sbatté con irritazione la falce sul campo di forza che faceva da pavimento alla stanza. Ne scaturì un rumore sordo, come se il bastone fosse stato spinto con forza tra i ciottoli di un fiume. Si avviò verso la porta oltrepassando Kerter, preceduto da uno dei suoi guerrieri centauri e affiancato dall'altro. "Portategli i miei omaggi." sibilò infine Dushmir a denti stretti, scomparendo nel corridoio. La mezzelfa non si voltò a seguirli, attese che l'ultimo degli ospiti svoltasse l'angolo e sbuffò in silenzio.

lunedì 19 ottobre 2009

2. Ogni cosa al suo posto

Dapprima una fremito lo riportò alla coscienza, poi ascoltò lo schiudersi del suo corpo alla nuova vita. Sentì gli occhi bruciare fin nelle orbite, e capì di essere stato sbalzato nel piano dell'energia positiva. Com'era possibile? Quei tre idioti non potevano aver evocato una forza magica tale da far collassare la piattaforma che aveva costruito. Syojatar scavò a lungo nella sua memoria, mentre i proprio corpo veniva ricreato e sanato dal flusso di energie guaritrici che permeava il piano dell'energia positiva. Ma certo! Comprese cosa era accaduto proprio nell'attimo in cui una scossa rigenerante gli attraversò la spina dorsale. Avevano sabotato il meccanismo, e poi l'avevano nuovamente attivato. Potevano essere così stupidi? Chi mai infilerebbe una spranga tra le ruote di un carro prima di spronare i cavalli? Ma non c'era altra spiegazione. E d'altro canto, era propria dei mortali la curiosa caratteristica di sfuggire al buon senso quando è in pericolo la vita.

Syojatar lo sapeva bene. Come tutti gli ultroloth aveva trascorso secoli a studiare tutte le forme di vita umanoidi, al fine di trovare nuovi metodi per causare loro dolore e tormento. Avrebbe dovuto aspettarsi che quei tre insetti, messi alle strette, avrebbero tentato ogni cosa pur di salvarsi la pelle. L'istinto di sopravvivenza era una forza interiore che non avrebbe mai più sottovalutato. Con un colpo di energia riprese il controllo del proprio corpo, il quale era stato molto vicino all'essere completamente disintegrato. Stese le dita di fronte a sé ghermendo il tessuto planare e lacerandolo con forza, quindi si catapultò fuori dal mare di luce. Poteva muoversi solo per piccoli passi, scalando i piani interni uno ad uno fino a tornare nella Gehenna. Lì avrebbe riacquistato la vista e recuperato completamente le forze. E infine avrebbe cercato le tracce dei tre mortali che avevano distrutto il suo capolavoro dimensionale. Era solo una premura inutile, un desiderio che lo rodeva dentro senza alcun motivo. Se l'esplosione aveva quasi distrutto lui, un signore degli yugoloth, non c'era davvero nessuna possibilità che quei mortali fossero sopravvissuti. ...o forse lo erano?

domenica 18 ottobre 2009

1. Eclipsia

La mano vibrante di energia di Wodan si fermò per un istante, e la potenza aggrottò le ciglia, scosso da un pensiero. Uno dei milioni di pensieri, giacché le divinità possono muoversi nel tempo a loro piacimento, e ogni loro ragionamento ripercorre mille volte l'arco di tempo che un mortale impiega a compierlo. Ma quel pensiero affiorava dal mare dei pensieri come la corteccia di un sughero in una fontana. Con uno sguardo infuse un'ultima goccia di energia al Cosmolabio, che riprese nuovamente a muoversi, cigolando e scricchiolando come di consueto. Ingranaggi e ruote dentate ruotarono spingendo globi di bronzo e aste graduate in alto e in basso, mentre lastre di metallo e cerchi lucenti attraversavano la stanza, incrociando di tanto in tanto una delle traiettorie.
"Credete che torneranno, mio Signore?" chiese una vocina flebile, immobile vicino alla porta. Wodan arricciò il naso. Il suo unico occhio non si distrasse dal macchinario, ma lo fece la sua mente, per un altro lunghissimo istante.
"Credo? ...di più, ne ho la certezza, mia piccola servitrice mortale... Ma temo comunque per le loro coscienze. Una divinità sopravvive per certo alle incertezze e ai dubbi, ma un mortale... la vita di un mortale è un lancio di dadi, una gara fra la sapienza e la decadenza. La consapevolezza della realtà che un mortale acquisirà alla fine della propria esistenza... è un mistero insondabile anche per una potenza. Un segreto chiuso nei vostri cuori."
La piccola mezzelfa si aggiustò le lenti, che poggiavano pesantemente sul naso minuto. Il suo nome era Kerter ed era una viandante planare. Veniva da un piano lontano, uno dei tanti, e aveva viaggiato per molto tempo prima di giungere a Eclipsia, la dimora di Wodan, una delle poche divinità restanti di un pantheon estinto da secoli, venerato da pochi, rappresentato ormai quasi completamente da potenze stanche dell'immortalità, sparse nel multiverso, in cerca di un senso per la loro esistenza. Eclipsia era un semipiano fluttuante del piano etereo, quasi una tappa obbligata per quei pochi viandanti planari che si avventuravano fin nei piani interni... nel caos elementale. Wodan aveva creato Eclipsia, e poi si era esiliato in questo luogo remoto, per studiare i piani interni, la loro energia primordiale, l'essenza che genera ogni cosa. Kerter non sapeva bene per quanto si sarebbe fermata a Eclipsia, ma di certo non si sarebbe fatta sfuggire l'opportunità di studiare il multiverso presso la dimora di un immortale.
"La loro cerca vi interessa? Ho visto che avete guardato con interesse quel loro artefatto, l'Hatuli... si tratta davvero di qualcosa di prezioso, come avete descritto loro?" domandò nuovamente Kerter. La sua curiosità era rivolta tanto alle risposte, quanto al modo in cui Wodan le avrebbe risposto. In cuor suo sapeva che non sarebbe mai riuscita a comprendere il modo di ragionare divino, ma il solo trovarsi al cospetto di Wodan era un'esperienza inebriante per lei. La potenza era in quel momento alta più di dieci metri, la sua testa sfiorava il soffitto della stanza del Cosmolabio.
"L'artefatto... un Hatuli... si tratta di certo di un prezioso oggetto magico, ma mai tanto prezioso quanto ciò a cui conduce. E comunque, non sono queste le pagine della storia che quegli avventurieri scriveranno."
La voce di Wodan si fece nel pronunciare l'ultima frase, molto più cavernosa di quanto già non fosse. Per Kerter, questo significava che il tempo per le domande era trascorso. Silenziosamente, scivolò via dalla stanza attraverso la porta. Quel gruppo di avventurieri aveva di certo le potenzialità per compiere imprese che addirittura una potenza considerava degne di pensiero. A Kerter non erano parsi niente più che il solito gruppo male assortito di viandanti, capitato per caso ad Eclipsia e scomparsi nelle pieghe del multiverso subito dopo. Ma in molte delle filosofie del multiverso, rifletté la mezzelfa, il caso non esiste. Si aggiustò la giubba di pelle e tornò nell'atrio, ad accogliere i visitatori.