lunedì 16 novembre 2009

10 - Vessha

L'esarca di Ynnaghis celebrò la cerimonia della saldezza restando impassibile, anche se nel suo cuore si agitavano emozioni così intense che sentiva quasi il suo corpo consumarsi dall'interno. Eppure, gli anni di addestramento all'interno del monastero, l'esperienza, la responsabilità, e non ultimo il suo ruolo in quell'occasione, lo spinsero a ricercare dentro se stesso la forza di controllare i propri sentimenti. Li soffocò, come serpenti spinti in fondo a un pozzo, facendoli annegare. Accese gli incensi, adornò la sua allieva con le vesti della fortitudine, separò con attenzione le polveri alchemiche necessarie per il rituale, e infine lo portò a compimento.
Da quel giorno, Vessha non era più un'allieva, e lui non era più il suo maestro.

Per tre lunghi decenni gli oligarchi di Maridia avevano generosamente offerto grandi somme di denaro, affinché Ynnaghis si prendesse cura di Vessha. La bambina fu portata al monastero che era appena nata, ancora ricoperta degli umori del parto, il cordone ombellicale avvolto attorno al corpo. Dastes era presente quando la consegnarono nelle mani dei monaci. Dastes aveva già 128 anni, ma era ancora molto lontano dalla perfezione.
Alla bambina fu dato il nome di Vessha, e giunta all'età giusta fu inserita all'interno delle ancelle aspiranti al ruolo di monaco. Rispetto alle altre bambine di sei anni, Vessha aveva un vantaggio notevole: nessun legame con il mondo esterno. Nessun genitore, nessun fratello, nessun parente, nessuna patria, nessuna fede. Abbracciò completamente le discipline monastiche, che divennero in breve tempo la sua unica ragione di vita. All'età di ventitre anni sconfisse in duello il maestro Char, araldo del primo segno. Le fu chiesto di intensificare l'addestramento e di puntare ancora più in alto, in modo da ottenere l'illuminazione. Vessha accettò, e negli anni successivi visse in quasi completo isolamento, temprando mente e corpo contro ogni tipo di invasione esterna. Quando i maestri la ritennero in grado di affrontare la prova e divenire essa stessa araldo, rifiutò, tornando ad essere un semplice monaco. Rifiutò anche di addestrare altri monaci, rifiutò qualsiasi incarico di responsabilità. Vessha eseguiva ogni compito alla perfezione, portava a termine ogni suo dovere con il massimo dell'efficienza dedicandogli la metà del tempo rispetto a qualsiasi altro monaco di Ynnaghis. E il resto del tempo, lo dedicava all'addestramento.

Dastes fu incaricato di seguirla, di interrogarla, di oltrepassare la barriera che la ragazza aveva eretto attorno alla sua mente e al suo cuore. Lo scopo di Dastes, e quello dei suoi superiori, era quello di condurre Vessha fino alla cerimonia della saldezza, che avrebbe sancito la sua completa autonomia... esiliandola per sempre da Ynnaghis.
Dastes eseguì il suo incarico con dedizione e molta, molta pazienza. Inizialmente Vessha non accettava altro modo di relazionarsi a lei se non combattendo, fisicamente o spiritualmente. Dopo qualche anno, finalmente accettò Dastes come confidente, oltre che come maestro. E dopo qualche altro anno ancora, come amante oltre che come confidente. Dastes completò l'addestramento di Vessha donandole l'umanità di cui il monastero l'aveva privata. Le insegnò a sfruttare i propri sentimenti, anziché ignorarli. E le insegnò a seppellirli, quando fossero di ostacolo. Alla vigilia del trentesimo anno di nascita di Vessha, Dastes -che nel frattempo era divenuto uno degli esarchi- comunicò agli anziani del settimo segno che la ragazza non aveva più nulla da imparare, a Ynnaghis. Era pronto a officiare la cerimonia della saldezza.

Come regalo personale per la sua dipartita da Ynnaghis, Dastes aveva fatto creare una coppia di armi magiche, le Radici Affilate di Traladara, o Traladar-egils. Le consegnò a Vessha l'ultimo giorno in cui la vide, il giorno in cui uno degli oligarchi, Arkande Kayenna, venne di persona al monastero di Ynnaghis per prelevare ciò che era suo e che per anni era stato per lui coltivato. Vessha aveva rasato la sua testa, raccolto i lunghi capelli neri in una treccia che le scendeva lungo la schiena, indossato l'abito monastico da viandante e non aveva preso con sé nulla, tranne le armi donatele da Dastes. Quando la porta del monastero si chiuse, Dastes pianse amaramente.

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